venerdì 22 febbraio 2008

Oggi è giorno di mercato


Lo sò già.
Fra un pò, ora è ancora molto presto, andrò a vestirmi e , a meno che non ci sia la bufera o nevichi, uscirò.

E andrò al mercato.

In famiglia conoscono la mia debolezza e sanno che le mie gambe, dotate di volontà propria, si dirigeranno verso le bancherelle allestite nel centro del paese.

Non è un granchè di mercato ma c'è una bancherella, l'unica, che mi attira.

E' una bancherella che fa i " bolcchi".
Per i non addetti ai lavori può essere un termine oscuro, ma per me rappresenta un grande valore "magico".

Vuol dire che i venditori sono andati per negozi che chiudono e hanno ceduto loro le rimanenze per pochi euro, ma che loro rivendono per poco ma..... bene.

Vuol dire che sono andati alle aste fallimentari e allora si possono vedere in esposizione , pellicce e altri capi d'abbigliamento.

Infatti 2 anni fa ho acquistato la pelliccia, assolutamente favolosa, che ho indossato per la laurea di mio figlio e tante altre cose.

Attualmente, in un angolo della bancherella c'è un blocco di rimanenze di una merceria ( ho già acquistato metri e metri di passamaneria e per pochi euro ho portato a casa sacchetti di prezioso materiale), per dar sfogo all'ultima mia passioncella: la confezione di sottopiatti a tema.

Che poi regalo.

C'è stato il momento dei sottopiatti a forma di abete confezionati con stoffa trasparente e decorata con stelline dorate (sempre acquistata al mercato) fatti per Natale, dei sottopiatti a forma di cuore per S. Valentino, regalati ai mei figli, e sono in "gestazione" quelli a forma di uovo per Pasqua.

Ma quando il mercato del mio paese non mi basta più, per sfrenarmi vado a Pinerolo e lì ogni tanto c'è il colpaccio.

Oltre a due borsette della Roncato, ultimamente, fra le altre cose e trattando sul prezzo, con riduzione del 30%, ho acquistato per 20 euro la bellissima borsetta della Cocinelle che vi faccio ammirare.

Cosa volete , nella mia collezione di borse, mancava proprio quel colore!




Quando voglio andare in trasferta vado a Torino e allora il mercato della Crocetta è tutto mio se trovo parcheggio, ma lo trovo, come pure il mercato di S. Rita o quello di Corso Palestro, quello vicino a Via Cernaia, insomma.

Ho iniziato a queste delizie, che invogliano a buttare all'aria i banchi alla ricerca di cose inaspettate, mia figlia e ho trovato un alter ego, sfrenato come me, nella ragazza di mia figlio, che ha un piglio notevole nel cercare e trovare, con mano sicura e frutto di lunga consuetudine ed esperienza , le cose più interessanti.

E allora chi mai ci potrà fermare?


sabato 16 febbraio 2008

Petra, quanto mi manchi-parte terza bis

Robertina, la mia archeologa, é una giovane donna di delicata bellezza.
Non è una di quelle ragazze che ti colpiscono per le forme, peraltro armoniose, o per l'abbigliamento eccentrico.
Bel volto ovale, impreziosito da due fossette che appaiono quando ride, incorniciato da due bande di capelli neri e lisci, bel sorriso, grandi occhi, bel portamento.

E' divertente e sa raccontare le cose in modo spiritoso con espressioni che ti fanno rotolare dalle risate ma...... quando si lavora diventa molto rigorosa, precisa, molto seria.

Bando alle ciance, insomma non si ride più .

Il nostro lavoro si svolgeva in tandem. Facevo qualche decina di foto, poi si scaricava la digitale per consentirle di fare le schede, con descrizione dell'oggetto, misurazione dello stesso e osservazioni varie.

Il brutto era quando doveva schedare le monete: oltre alla descrizione, quando erano leggibili, doveva prendere le misure e "pesarle".
Però io ogni tanto facevo dei pasticci con quelle stramaledette monete.
Capitò l'ultimo giorno in cui lavorammo al magazzino.

All'ultimo il direttore, persona capace e molto intelligente, tirò fuori, probablimente dalla cassaforte, un sacchettino di plastica contenente 59 monete d'oro, parecchi orecchini, sempre d'oro, e minuscoli gioiellini uno più bello dell'altro e, per velocità, pesò il sacchetto, per cautela, non si sa mai!

Non solo, volle che Robertina ed io andassimo a fotografare e schedare i reperti nel suo ufficio.

Insomma quegli oggetti non dovevano uscire dalla sua stanza.

Gli orecchini erano di una bellezza travolgente, gli anellini erano decorati da cornaline con delicate incisioni.
Spero di non usare termini impropri nella descrizione dei materiali.

Fin quando si trattò di fotografare i gioiellini andò tutto bene: man mano che li riprendevo li disponevo con la sequenza giusta sul tavolo dove Robertina lavorava, stando attenta a non fare pasticci anche perchè alcuni di loro erano simili.
Quando cominciai la ripresa delle monete cominciarono i guai.
Le monete non avevano teste e scritte ma solo scritte per cui dovetti inventarmi un metodo per non fotograre due volte la stessa faccia.

Ovviamente le scritte erano in arabo.

Purtoppo feci qualche pasticcio per cui non solo dovetti rifotografarle ma anche Robertina dovette rifare il suo lavoro di schedatura.

Non mi prese a male parole, che onestamete avrei meritato, ma i suoi occhi lampeggiaro in modo eloquente e gli accenti con cui si rivolse a me furono piuttosto vibrati.

A parte questo episodio andammo sempre d'accordo.

Si lavorava a ritmo serrato non solo nei locali destinati allo studio e alla riprese , ma arrivammo a lavorare anche in albergo per tre giorni di fila, supportate validamente dal nostro restauratore, Enrico.

C'era non so quale festività per cui gli edifici pubblici rimasero chiusi.

Il direttore che, come questo episodio mette in evidenza, era una persona intelligente, ci permise di portare fuori dai locali deputati alla conservazione , monete, sigilli ecc. onde consentirci di poter lavorare , visto che , come al solito i tempi erano stretti ed io volevo, oltre al resto, rifotografare le monete in bronzo riprese in modo poco soddisfacente all'inzio.

Staccavamo solo per mangiare e per fumare, io, qualche sigaretta.

Desidero parlare un poco di Enrico, ottimo restauratore della Soprintendenza Archeologica di Torino. Egli doveva partecipare, in sostituzione di una restauratrice, alla missione in Iraq nel 1972, ma a causa dei suoi doveri di leva fu sostituito da colui che in seguito diventò mio marito.
Provenivano tutti e due dallo stesso Istituto d'Arte di Faenza, presso cui si erano specializzati in restauro, ma mentre mio marito preferì la libera professione, Enrico fu "fagocitato" dal Centro Scavi e Ricerche per cui ha lavorato fino a non moltissimo tempo fà, sempre che le mie informazioni siano esatte.

Bravissimo nella sua professione, adattabile ad ogni situazione, sapeva mimetizzarsi tra gli arabi, grazie al suo aspetto: non altissimo, baffetti e, soprattutto buona conoscenza della lingua araba che, credetemi, è veramente una enorme risorsa.

E fu così che, durante i nostri dopocena, aggiunse notiziole interessanti a ciò che riguardava le missioni che mi ero perduta, perchè "tenevo" famiglia e con due bimbi piccoli non mi era certo possibile andare a lavorare all'estero.
Ci raccontò, oltre a numerosi altri episodi, di quando caddero i missili nel giardino accanto alla residenza della missione(sembra quasi il titolo del film omonimo) probabilmente durante la guerra del Golfo.
Si recò a Bagdad anche durante la guerra iniziata, come noto, nel 2003 per riorganizzare il laboratorio di restauro, viaggiando con il giubbotto antiprioiettile, rischiando la vita in pù di una occasione.
Mal di Oriente? Amore per il suo lavoro? Un pizzico e non tanto piccolo di incoscenza?
Forse tutto questo!

Con Robertina ogni tanto, dopo il lavoro, andavamo a fare shopping.
Amman era divisa in "cerchi" penso fossero zone, a mia vergogna non ho mai approfondito pensando che fossero enormi rotonde. La cosa che mi colpì molto fu salire in un taxi.

Ero abituata a quei taxi sfasciati di Bagdad, in cui la tappezzeria era solo un ricordo, le molle si infilzavano quasi nel sedere e, per aprire le portiere, spesso, non si capiva dove mettere le mani perchè mancava il rivestimento delle stesse e tutte le leve e molle erano a vista.

I taxi di Amman erano macchine "nuove", ben tenite, pulite e.. avevano il TASSAMETRO!

Robertina mi accompagnava nelle mie scorribande, stoicamente pochè essendo stata ad Amman solo 3 settimane prima aveva già "dato" con gli acquisti.
Comunque grazie a lei scoprii tanti negozietti interessanti presso cui trovai delle cosine graziose.
NON POTEVO TORNARE A CASA SENZA REGALI.

Mi avrebbero lapidata!

Finalmente il venerdì, due giorni prima della partenza riuscimmo ad organizzare una gitarella fuori "porta".
Anche questa volta Petra non potè essere considerata perchè, gli altri partecipanti alla missione, avendo avuto diversi giorni liberi, causati dalle festività locali, erano andati credo dappertutto, Petra compresa.

Comunque Robertina, Buteina, che era la direttrice del restauro di Bagdad e aveva
accompagnato i restauratori di cui ho parlato all'inzio, ed io passammo una bellissima giornata andando a visitare il Monte Mataba, ci recammo sulle rive del Giordano al di là delle quali vidi sventolare la bandiera israeliana e, immediatamente sul mio cellulare apparve il segnale del loro ripetitore. e provammo "l'emozione" di affondare i piedi nella spiaggia del Mar Morto.



Robertina non riuscì a trattenersi dall'andare a pucciare le sue zampette nell'acqua e spalmarsi i famosi fanghi fino alle ginocchia.

Come si può vedere in questa foto gli abitanti in gita preparano gli spiedini sulle fornacelle direttamente in spiaggia.


Ovviamente a noi arrivava solo il fumo!!

Al ritorno il nostro autista e Buteina, un donnone che era sicuramente il doppio di noi, rosi dalla fame, ci pilotarono verso un ristorantino, deserto nel pomeriggio inoltrato, dove ci servirono mezzo pollo a testa da mangiare rigorosamente con le mani.

Noi due ne mangiammo un pò mentre gli altri due, finito di sbranare le loro porzioni, si ripassarono i nostri avanzi.

Scriverei ancora per delle ore, mi sembra chiaro che sono una grande chiacchierona, ma i ricordi che qui non ho citato rimangono nel mio cuore e in quello della mia amica.

Finalmente partimmo, io a dire il vero ci sarei rimasta ancora un pò anche solo per andare in giro per siti e negozi, e poi la vita "normale" ci attendeva, non ultima l'emozione, credo condivisa da molti di perdere il bagaglio, fortunatamente poi recuperato dopo 15 giorni, a Caselle.

Ora sono qui a scrivere i miei ricordi che per fortuna sono belli come molto bello è pure il ricordo della "mia archologa" a cui questa ultima puntata è dedicata!!


Piccolo post scriptum: nella foto di gruppo io sono a sinistra, Buteina in centro e Robertina a destra.















martedì 12 febbraio 2008

Petra,quanto mi manchi -parte terza-

Inizio febbraio 2005.
Per caso ero a Torino e stavo per rientrare a Luserna, ove abito, quando mi arriva una telefonata dal Centro Scavi.
Benedetto cellulare!!!!
Sfreccio come una scheggia fino all'altro capo della città, dove si trovava all'epoca il Centro Scavi, e qui ho un abboccamento con i responsabili della già avviata missione in Giordania che mi chiedono se sono interessata ad andare ad Amman per due settimane per fare riprese di materiale sequestrato al confine Iraqueno-Giordano.

Carponi ci sarei andata anche aggrappata al carrello dell'aereo: mi piace viaggiare, muovermi, anche per andare a lavorare, anche per fare dei tour de force.

Esattamente 8 giorni dopo ero sull'aereo in compagnia di Robertina, la mia "archeologa" con cui avrei dovuto lavorare e che avrebbe dovuto sopportarmi.

Ad Amman erano in corso due distinti progetti.

Il primo riguardava la formazione professionale di giovani restauratori in forza presso il gabinetto di restauro della Soprintenza iraquena, con la loro direttrice, ospitati ad Amman per ragioni di sicurezza, mentre il secondo consisteva nel fotografare, schedare e studiare dei reperti confiscati al confine con l'Iraq. Un Jordan B.R.I.L.A. insomma.

Dall'Italia erano arrivati esperti con l'incarico di curare la formazione di questi giovani a cui, credo, non sembrava vero l'essere ospitati in un contesto diverso da quello in cui, quotidianamente, erano costretti a vivere.

Le lezioni, pratiche e teoriche, erano tenute da restauratori provenienti da Roma e da Torino e supportate da interpreti in lingua araba.

Per quanto riguarda i reperti confiscati, una parte della documentazione fotografica era già stata eseguita, in digitale e in luce ambiente, mentre, per la pubblicazione c'era il bisogno di foto più professionali.
Ecco il motivo per cui mi trovavo ad Amman.

Ogni mattina ci recavamo presso un complesso di edifici che comprendevano sia i locali adibiti
a gabinetto di restauro e studio del materiale confiscato, sia i magazzini in cui erano conservati reperti archeologici di ogni genere genere, mirabilmente conservati.
Non posso dire di più in quanto non ho potuto vedere altro che non fosse inerente a ciò che dovevo fotografare.

Mi attendeva una grossa quantità di menete, circa 350, oltre a terrecotte , vetri, tavolette cuneiformi, da fotografare una per una, dritto e verso, e devo dire che l'inizio non fu dei più brillanti.
Avevo perso la mano a fotografare le monete, e la mia digitale aveva delle limitazioni in quanto non mi permetteva di avvicinarmi a più di 10 cm. Riuscii a fotografarle con varie prove, ma il risultato , anche a distanza di tempo non mi soddisfa ancora, anche se fu accettabile.

Mi ricordo che faceva un freddo terribile e non mancò nulla dal punto di vista metereologico.
Pioggia, vento e neve ci deliziarono per alcune mattine e, anche se cercavamo di scaldarci con alcune stufette, io lavoravo col cappotto.
Per fortuna, dopo qualche giorno mi trasferii con la mia attrezzatura nei locali dove avveniva lo studio dei reperti e la vista di lunghissimi termosifoni mi illuminò e rincuorò.

Sistemato il piano d'appoggio, il fondale, di solito azzurro, e le luci , mi accinsi a fotografare gli oggetti più interessanti che avessi mai visto, Vetri decorati, diversi da quelli che avevo fotografato a decine durante le missioni a Bagdad, caraffe ornate da incisioni recanti croci e figure di santi e sagomate in modo che ogni lato avesse una decorazione, una effigie diversa. Terrecotte che fotografai di fronte, lato destro, sinistro, retro e particolari del volto, quando mi sembrava che ne valesse la pena.
Mi sfrenai, insomma.
Se quelle figure avessero potuto respirare avrei fotografato anche le nuvolette di fumo uscite dalla bocca, senza contare il fatto che ero e sono convinta che l'archeologo , non potendo, in seguito, avere l'oggetto sottomano avrebbe pototo ricorrere alla focumentazione fotografica.
Ma...... con la schedatura computerizzata il lavoro risultava più lungo e complesso.
Mi capitò anche un incidente di percorso, infatti un pinax, cioè una piccola tavoletta votiva, fortunatamente una copia, cadde per terra mentre la fotografavo.
Fu prontamente restaurata e, comunque, il direttore del magazzino ne fu informato.

Ci recavamo al lavoro al mattino verso le 9 e rimanevamo fino alle 15, mi pare, grazie alla gentile concessione del direttore stesso che ci permetteva di lavorare oltre al normale orario d'ufficio.
Per quanto riguarda il pranzo ci portavamo dello yogurt e della marmellata Hero che avevo trovato nel supermercato dietro all'albergo. Poi qualcuno di noi andava ad acquistare delle deliziose focacce che tagliavamo a spicchi e il tutto spariva in un baleno.
Come diceva Robertina, con quel tipo di pranzo non sarebbe stato difficile dimagrire.

Finito il lavoro, spesso, prima di tornare in albergo facevamo delle puntate presso i negozi che ci erano stati suggeriti da un'altra archeologa che ad Amman ci viveva e che ci forniva indicazioni, mappe e tutte le delucidazioni necessarie, quando non poteva accompagnarci di persona (grazie ancora, Ali ( che sta per Alessandra).
Amman, che è a 900 metri, e questo poteva far comprendere perchè, pur essendo in paese mediorientale facesse così freddo, non mi piaceva molto probabilmente perchè non la conoscevo.

Non mi piaceva perchè forse non c'erano i suq?
Negozietti carini e cari ce ne erano però, ed io riuscii comunque a portare a casa parecchie cose interessanti per la gioia di parenti ed amici. Qui sotto ce n'è un esempio.
Avrei voluto comprare tutto anche perchè era talmente ben struttarato e tutto era cosi ben esposto che invitava allo shopping più sfrenato!!

L'albergo era veramente confortevole.
Ognuno di noi aveva a disposizione una suite e, gioia delle gioie, un televisore che trasmetteva Rai 3. La domenica però era una rottura in quanto quell'unico canale trasmette una marea di sport,ma
avevamo però la consolazione di sapere cosa accadeva in Italia e anche all'estero e, giusto il 14 febbraio, seppi dell'uccsione di Rafik Ariri, l'inizio dei guai per il Libano.
Mammazan cucinava anche lì per sè, per Robertina e per Enrico, il nostro resturatore. Ci riunivamo tutti da me: una pasta c'era sempre , della verdura anche e tutto quello che il supermercato dietro all'albergo poteva offrire.
Ad onor del vero Robertina si offriva di lavare sempre i piatti.

Devo descrivervi la "mia Archeologa".
Ma lo farò la prossima volta.









giovedì 7 febbraio 2008

Gianni Vattimo

Vi è mai capitato di associare un colore , un profumo, una persona ad un evento gradevole o meno?
A me è capitato poco fa.
Girellando tra le reti televisive , quasi per la disperazione , mi sono sintonizzata su La 7, che è tra i canali che preferisco, e chi ti vedo?
Oltre al gradevolissimo Alain Elkan c'era anche il professor Gianno Vattimo anche lui molto attrente, forse qualche anno più di me ma moooooolto ben portati.
Ebbene io l'ho conosciuto di persona ed ora dirò come.
Era il lontano 1967 e, finalmente, dopo 5 anni di attesa mi accingevo a fare il concorso per essere qualificata tecnico fotografo. Fino ad allora avevo comunque svolto quelle mansioni con la qualifica di bidella in quanto il posto non c'era e, finalmente, dopo tanto tempo il mio direttore riuscì ad indire il concorso in modo da regolarizzare la mia situazione.
Allora la sede dell'Istituto di Archeologia e di Filosofia era situata in Via Po 18 e ricordo ancora il professor Guzzo, titolare della cattedra di Filosofia. Era un ometto piriforme, molto curato ed elegante, ma, soprattutto, ricordo quella volta che io, ventenne, volli cedergli il passo per farlo entrare per primo in bibloteca in segno di rispetto.
Egli si fece di lato e, facendomi passare, mi disse:" Signorina, io sono nato il secolo scorso".
Non era solo galanteria era buona educazione e rispetto per le donne .
Allora Gianno Vattimo, che conoscevo poco, era l'assistente del Prof. Guzzo e lo ricordo ancora mentre mi salutava sorridente, gentilissimo, biondo, elegante e bellissimo sulle scale che portavano al mio gabinetto fotografico. Faceva parte della commissione che doveva presiedere al mio concorso.
Ebbene quando sento il suo nome lo ricordo così.


mercoledì 6 febbraio 2008

Petra, quanto mi manchi-parte seconda bis


Desidero ricordare che ero stata appena scaricata da un taxi in una via sconosciuta di Bagdad e non sapevo dove andare.
Mi sentivo veramente come una povera tapina e la borsa in coi avevo le foto bagnate delle stampe fatte in Istituto e che, una volta a casa, avrei dovuto stendere per farle sciugare cominciava a pesare sempre di più.
Decisi di telefonare a casa, sperando che il nostro cuoco, Ghiliana, potesse aiutarmi.
Ricordavo infatti che egli mi aveva detto: "Every shop has telephone".
Entrai in ogni negozio che si affacciava sulla strada, facendo la fatidica domanda in arabo:" Tilifon aku? (C'è il telefono?) e la risposta fu invariabilmente: "Maku"(Non c'è).
Una sottile ansietta cominciò ad insinuarsi in me.
Scorsi allora alla fermata di un autobus due gruppetti, uno costituito da ragazzette in divisa scolastica (scamiciato nero e camicetta bianca) che, come avviene in tutto il mondo, ridacchiavano tra di loro mentra guardavano con grande interesse due ragazzi anche loro studenti.
Puntai senza tema verso gli studenti valutando le ragazze troppo stupide per darmi ascolto.
I due giovanotti stavano chiacchierando tra di loro, ma interruppero la loro conversazione quando mi avvicinai. Uno dei due, pur non capendo del tutto il mio inglese, fu convinto da me a cercare un posto telefonico per fortuna non distante, a telefonare a casa e, grazie alle i
nformazioni fornitegli da un ringhiante Ghiliana, fermò un taxi al cui autista disse dove portarmi.
Lo ringraziai veramente con calore e questi ritornò dall'amico con cui stava conversando.
Questi sono gli arabi! Gentili e disponibili.
Mi capitarono altri tipi di tassisti, come ad esempio uno che dopo mezz'ora di corsa, tanto ne occorreva per tornare a casa dall'Istituto, non volle pagarsi, ed un altro particolarmente ciarliero che mi disse che aveva lavorato con una compagnia a Milano e alla mia domanda che cosa gli era piaciuto di più, mi rispose senza tema:" The girls".
E poi mi chiese, sempre in inglese: " Ma voi cosa mangiate per essere così belli?"
I due mesi a Bagdad passarono velocente.
Lavoravo al museo quasi tutti i giorni e a forza di fotografare innumerevoli frammenti di avorio riuscii a finire la scorta delle pellicole.
Ma la città aveva delle risorse incredibili, vi si poteva veramente trovare di tutto; così potei trovare in un quartiere di negozi specializzati in materiale fotografico , quello che mi serviva.
Ebbi anche l'emozione di stampare le foto su della schifosa carta cinese.
Poi cominciai a fotografare le terrecotte sugli scavi e lì si presentarono altri problemi con la luce che andava e non veniva in quanto il generatore per partire aveva bisogno di gasolio e il personale che avevamo non voleva andarlo a chiedere alla famiglia che ce ne poteva dare in quanto c'era della ruggine. Ci vollero le vibrate proteste delle archeologhe per convincerli ad andare a chiedere il carburante.
Riuscii nonostante questo inconveniente ed altri ,come ad esempio le prese di corrente che non funzionavano, a fare tutte le riprese.
Sullo scavo comunque non si stava male, a parte il fatto che il cuoco era sporco e il frigo , a volte sembrava la tomba degli avanzi. Avevamo il telefono, impostoci dal nostro ambasciatore per la nostra sicurezza.
Potemmo fare quindi telefonate a Bagdad e fare e ricevere costosissime telefonate dall'Italia.
Mi tremano ancora i polsi al ricordo delle bollette Telecom che arrivarono per parecchio tempo.
Ci fu anche il lato godereccio della missione.
L'invito a cena sullo scavo da parte delle guardie che sorvegliavano il campo, con una cena servita per terra su una lunga tovaglia di palstica a cui seguirono canti da parte dei nostri ospiti e da parte nostra, mentre le loro donne, che avevano preparato la cena ci sbirciavano dall'esterno.
L'invito a casa dell'ambasciatore italiano.
L'invito a casa dell'ambasciatore greco dove tutti ballarono il sirtaki e dove una efficientissima governante, tra l'altro, leggeva i fondi di caffè.
L'invito a casa nostra dell'ambasciatore italiano scortato dai carabinieri che venivano da Kabul, a cui non sembrò vero di arrivare in un'oasi di pace (non immaginavano quello che sarebbe successo di lì a 5 mesi) e di trovare tante belle ragazze.
In quell'occosione ognuno di noi preparò un piatto particolare: Eleonora, la ragazza siciliana cucinò una pasta profumatissima. Paolo il nostro "capo"delle polpettine agrodolci, io preparai del ragù e il nostro cuoco preparò, ringhiando degli ottimi gnocchi.
C'era anche tra gli invitati l'ambasciatore tedesco, un gran signore che, a differenza del nostro che, quando veniva, portava soltanto se stesso, arrivò preceduto dal suo autista carico di beveraggi.
Ci furono i blitz nei vari suk dove comprammo tutto quello che era possibile comprare e stivare in valigia con contrattazioni lunghe ed estenuati. Ero sempre io che accompagnavo le ragazze che ,essendo palesemente straniere e molto graziose attiravano gli sguardi e non solo dei maschietti locali.
Il dinaro iraqueno era diventato ormai carta straccia.
Ai tempi delle missioni un dinaro valeva 3 dollari e con 350 dinari si poteva fare la paga settimanale degli operai degli scavi.
Ora un dinaro valeva una lira ed uscivamo dai negozi, dove si poteva fare il cambio, con sacchetti di plastica nera tipo quelli della spazzatura, ma più piccoli, pieni di banconote da 250 dinari l'una. Un'impresa solo a contarli.
Scoprimmo un negozio dove trovammo ceramiche locali dal caretteristico colore verde-azzurro e con deliziose scritte in arabo che credo sia la lingua scritta più bella, armoniosa e decorativa che esista e tutti ne comprammo in quantità industriali; andammo in un edificio dove venivano venduti all'asta tappeti persiani, guide curde che avremmo potuto acquistare veramente per poco: ancora oggi, credo parecchi di noi si mangiano le mani per non aver potuto comprare nulla
proprio per via del trasporto.
Per tornare al tema principale di queste puntate, tutti eravamo intenzionati , alla fine della missione , ad andare a Petra una volta giunti ad Amman.
Il nostro capo missione aveva portato con sè del denaro destinato ad almeno due o tre viaggi nascosti nella cintura del viaggiatore. Questa fu per me una rivelazione: era infatti una cintura di pelle normale ma, all'interno, si potevano nascondere dei denari grazie ad una cerniera lunga quanto la cintura stessa, che una volta aperta li poteva agevolmente contenere.
Alla fine nesuno ebbe più voglia di andare a visitare questa benedetta Petra, un pò perchè costava caro, un pò perchè aveva voglia di tornare a casa , quindi non se ne fece nulla.
Non potevo io da sola andarci: eravamo un gruppo e quindi in gruppo dovevamo tornare.
E così avvenne.