venerdì 27 luglio 2007

Beyrouth (parte seconda)

L'albergo in cui dovevo soggiornare si trovava in un quartiere di hotels, ed era spesso utilizzato dalla D.G.A quando doveva ospitare personalità o, come nel mio caso, da tecnici. Infatti in seguito sarebbe arrivato un ingegnere che avrebbe fatto il rilievo topografico in Place des Etoiles in centro città. Le vicinanze erano confortate dalla presenza di supermercati e piccoli ristorantini che furono spesso la mia salvezza e ,spingendomi poco oltre, quando cominciai le mie esplorazioni trovai numerosi negozi d'ogni genere ma quelli che solleticarono il mio interesse furono quelli che vendevano oggetti caratteristici e souvenirs. Niente di eccezionale ovviamente ,ormai come acquirente ero abbastanza disincantata ma tornando a casa sotto Natale DOVEVO portare dei regali acquistati in loco. Consapevole che la mia capacità di orientamento era pari a zero giravo con i biglietti da visita dell'albergo , non si sapeva mai...
Il mattino seguente, la mia archeologa che si chiamava Cristiana venne a prendermi per portarmi come ho detto a Saida ,la città natale di Rafic Hariri ucciso nel febbraio 2005, per mostrarmi il luogo dove avrei dovuto lavorare per le successive due settimane. Ci vollero 35 minuti per arrivare al parco archeologico di Ecmun, scrivo il nome come lo ricordo, costeggiando il mare e in seguito vari paesini dall'aspetto polveroso come spesso capita in medio oriente. Venni informata che dovevo fotografare degli elementi architettonici scavati in centro città e le riprese sarebbero state effettuate a luce ambiente. Meno male ,pensai io, così non avrei dovuto usare lampade, studiare illuminazioni e complicazioni varie: un click dopo l'altro e via! Le mie illusioni svanirono presto come spiegherò in seguito.
Arrivate in loco trovammo un paio di ragazze della D.G.A che ci portarono verso una specie di capannone a cielo aperto coperto da lamiere e recintato da una rete metallica, ma...... la chiave per entrare non c'era (il funzionario che ce la doveva portare non era venuto) e quindi mi accontentai di guardare ciò che si trovava all'interno e cioè pile e pile di cassette di plastica situate vicino all'ingresso e poi una miriade di meravigliosi capitelli corinzi uno diverso dall'altro , frammenti di colonne e lapidi varie.
Accanto al capannone almeno due container che , mi venne detto, contenevano ceramiche e terrecotte, anche quelle da fotografare.
Io cominciavo a gongolare e pensai: "ma io da qui non me ne vado più, ne avrò per una vita!".
Il capannone era un po' rialzato rispetto al parco archeologico vero e proprio .
A dire il vero non mi sembrava un granchè a parte un pavimento a mosaico e vari muretti mezzo diroccati; a me piacciono le cose che stanno in piedi e che mi fanno capire così, a prima vista che cosa sono. I muretti che delimitano gli ambienti, le tracce di bruciato che facevano capire che là c'era stato un focolare e cose simili e fanno andare in delirio gli archeologi non mi dicono nulla.
Trovai invece molto interessante , al di là della strada, una coltivazione di banani con tutti i caschi avvolti in sacchi di plastica blu. Gli alberi erano bassi, pensai ad un bananeto di alberi nani, comunque alti o bassi non ne avevo mai visti prima.
Finalmente tornai a Beyrouth e la mia ospite, sposata ad un ingegnere libanese e madre di un bimbo piccolo, arrivate nella hall dell'albergo mi salutò e mi disse che il lunedì mattina sarebbe venuto un autista a prendermi.
E io pensai : O Madonna, fino a lunedì cosa ne sarà di me in questo posto che non conosco, con il mio inglese che tutti capiscono mentre invece io non capisco una mazza di quello che dicono?
Il problema immediato era quello di capire dove avrei mangiato: in albergo o fuori e cosa avrei fatto.
Ma di risorse come vedrete ne avevo.

mercoledì 25 luglio 2007

BEYROUTH (prima parte)

Anche Beyrouth è nel mio cuore e nei miei ricordi come tutti gli altri luoghi in cui mi è capitato di andare per lavoro e purtroppo non per diporto.
Quando dovevamo recarci a Bagdad per le varie missioni archeologiche facevamo scalo all'aereoporto di Beyrouth e cambiavamo anche la compagnia aerera che allora era , mi pare di ricordare, la M.E.A e cioè la Midle East Airline e già dai pasti serviti a bordo si percepiva il sentore dell'oriente che si avvicinava. Qualche volta abbiamo viaggiato anche con la Iraqui Airline e il sentore era ancora più forte.
Non rammento bene come era l'aereoporto di Beyrouth allora, ma è netto nei miei ricordi il fatto che nel 1975 era stata ultimato ed era veramente molto bello.
Vi atterrai nel dicembre 2003 con la mia Canon nuova fiammante nella borsetta e un borsone pieno di lampade , i loro sostegni, il cavalletto e tutto il necessario per le riprese.
Avevo portato anche la mia adorata Nikon perchè mi era stato detto che la Direction Des Antiquites voleva delle diapositive.
Ad attendermi c'era una archeologa italiana che non conoscevo e che doveva dirigere il mio lavoro . Mi accompagnò all'albergo , nella parte musulmana della città, presso cui soggiornai per le successive due settimane e mi diede appuntamento per la sera stessa alla sede dell'Unesco dove si svolgeva il festival internazionale del cinema.
Mi agghindai un , perchè , a mio avviso, per certe occasioni bisogna essere chic e , con un di apprensione mi tuffai nella notte a bordo di un taxi il cui autista , per fortuna mi portò a destinazione senza problemi.
La sala era molto bella con meravigliosi lampadari (appena mi ricordo come si fa, pubblicherò le foto) e la sala, molto accogliente, era impreziosita di comodissime poltroncine rosse.
Il film , con sottotitoli in francese non era noioso, ma in quel momento la cosa che mi premeva di più era trovare la sala del buffet per mangiare qualcosa, avevo infatti mangiato sull'aereo e non era un granchè.
Entrai quindi, una volta terminato il film, in un salone con lunghi tavoli ricolmi di tantissime vivande dall'aspetto e dal sapore molto orientale i cui vassoi furono letteralmente assaliti da un'orda di famelici degustatori.
Quando tutti si furono ingozzati fino alle orecchie, i vari camerieri rovesciarono tutti gli avanzi in sacchi neri della spazzatura e la cosa mi sconcertò un poco.
Uscita quindi da quella sala mi accorsi con stupore che era stata allestito un altro buffet nell'ingresso principale e i vari vassoi erano colmi di stuzzichini dall'aspetto e dal gusto più europeo e che comunque furono degni della mia attenzione.
Non ho mai detto a nessuno che nella stessa sera mi ero fatta due buffet e ora lo confesso pubblicamente.
Finalmente incrociai la mia archeologa che stava conversando con altre persone e che mi diede appuntamento per il mattino successivo per fare un sopralluogo a Saida ,l'antica Sidone, distante da Beyrouth cicra 35 km.
La mia avventura stava per cominciare!

venerdì 20 luglio 2007

Canon ti adoro (quarta ed ultima puntata, forse)

Ho lavorato come tecnico fotografo per l'Istituto di Archeologia per 20 anni e precisamente dal 1961 al 1981. Fino al settembre del '68 la sede provvisoria era in V. Po 18 e per quanto riguarda il gabinetto fotografico era situato in locali veramente poco idonei e poco attrezzati. Comunque riuscivo a svolgere il mio lavoro bene anche se in condizioni critiche.
Nel settembre del '68 ci trasferimmo a Palazzo Nuovo e certamente quasi tutti sanno dov'è e com'è.
Era veramente un sogno : locali nuovi, grandi, attrezzati come si deve e con apparecchi veramente funzionali, acquistati tenendo conto delle nuove esigenze. Ovviamente erano ancora in uso le apparecchiature che avevo adoperato fino ad allora perchè erano ottime , mentre alcune tipo la rotativa per essiccare le fotografie e l'essiccatore per asciugare le pellicole furono sostituite e quelle vecchie mandate a Bagdad.
Nell'Istituto si tenevano numerosi corsi e precisamente. archeologia orientale. cristiana , medievale, greca, romana ed etruscologia .
Ognuno di questi prevedeva la proiezione di diapositive, dispense illustrate con le foto relative alle diapositive proiettate (in tre copie) e schede con le copie a contatto.
Per cui ogni mattina o quasi arrivavano nel mio studio pile e pile di libri recanti all'interno dei foglietti su cui erano indicati i soggetti da riprodurre.
Non era però sufficiente prendere il libro metterlo sotto il riproduttore, bisognava anche eliminare le didascalie e isolare la foto dal resto della pagina. Seguiva lo sviluppo dei negativi. la stampa su materiale trasparente, la sistemazione di ogni singolo fotogramma nei telaietti i cui vetri doveva essere puliti a mano uno per uno: una palla pazzesca.
Questa era la routine da seguire durante il periodo delle lezioni, ma spesso dovevo finire di stampare le foto non solo degli scavi di Bagdad ma anche degli scavi che venivano fatti in Italia e cioè in Calabria e in Sicilia dove spesso sono andata a fotografare gli oggetti, sviluppando i negativi in albergo o in altri stambugi recuperati qua e là.
Insomma chi lavorava per l'Istituto di Archeologia diventava senza famiglia e senza patria!
Io ovviamente non facevo eccezione.
Devo aggiungere che ho fatto anche riprese fotogrammetriche sia a Bagdad che in Sicilia ,gigantografie su tela e carta, riprese, sviluppo e stampe a colori, riprese e sviluppo di diapositive , riprese di reperti, le famigerate bullae che però da sole con i buoni risultati ottenuti hanno creato la mia "fama". Le riprese, specie degli oggetti ,dovevano spesso essere buone per la pubblicazione oltre che per studio, quindi dovevo lavorare velocemente ma con un buon standard di qualità.
Il mio direttore diceva ai suoi colleghi che il Suo gabinetto fotografico era in grado di fare tutto, peccato che il "culo" me lo facessi tutto io.
Ora con le nuove tecnologie il lavoro si è notevolmente semplificato, fermo restando che la mano, il polso deve essere buono.
La mia consolazione , quando sono andata in pensione , è stata quella che per fare il lavoro che facevo da sola ci sarebbero volute tre persone.
Credo proprio che mi abbiano rimpianta!

giovedì 19 luglio 2007

Canon ti adoro Terza puntata

Come dicevo specialmente dopo il 1966 dovetti recarmi alla Mudiryah Mataf per fotografare degli oggetti perchè nel 1965, avendo risposto poco cortesemente a un giovane professore, fui "punita" dal direttore e non andai a Bagdad.
Chi mi sostituì , poco pratico, fotografò tutti gli oggetti della campagna di scavo con una Rollei 6x6, illuminandoli male e a grande distanza . Un orrore!!!
Ci recavamo in Soprintendenza verso le 9 ma prima di poter cominciare a lavorare ci voleva , di solito parecchio tempo. Parecchi giorni prima si doveva presentare la richiesta del permesso di fotografare gli oggetti con il numero di inventario e anno di Missione, attendere la concessione, e una volta ottenuta sperare trovassero i reperti nei loro magazzini che nessuno di noi ha avuto il bene di visitare.
I tempi di attesa erano biblici, i funzionari indolenti e quando portavano qualcosa speravamo che i pezzi fossero quelli richiesti e e non dati col contagocce. E soprattutto non potevamo protestare.
Gli stanzoni in cui ci era concesso di fotografare erano squallidi , le prese di corrente a cui mi dovevo per forza collegare vecchie e poco funzionanti (40 anni dopo erano ancora le stesse).
Io mi mettevo in un angolo con le mie lampade, il cavalletto e spesso usavo la valigia della Linhof per appoggiare un cartoncino che doveva servirmi da sfondo. Usavo delle basette di plexiglass su cui appoggiavo gli oggetti, un di plastilina per farli stare in piedi se ce n'era bisogno ,un metrino su cui scrivevo il numero d'inventario che doveva servire per l'identificazione e quindi cominciavo a lavorare come un treno perchè già alle13,30 gli impiegati che avevano fatto poco o nulla tutta la mattina si preparavano ad uscire.
A quel punto bisognava restituire gli oggetti che venivano riportati in magazzino , riporre le macchine, a volte ne avevo due , una per il bianco e nero e l'altra per le diapositive , e tornare alla casa della missione dove passavo il pomeriggio a sviluppare, stampare, a volte a sviluppare le diapositive. A volte mi sento eroica per tutto quello che riuscivo a fare.
In pratica , per quanto riguarda la ripresa non è cambiato nulla.
Se sono all'estero mi devo adattare alle condizioni "ambientali" che trovo : locali, prese di corrente , tavolini su cui appoggiare i fondali bianchi o colorati,che sono a elle e devono fungere da sfondo e piano di appoggio per gli oggetti, piazzare le lampade , cavalletto ecc.
L'importante è per me produrre del lavoro pubblicabile subito senza bisogno di ritocchi (photoshop per me è ancora un mistero) e fotografare l'oggetto da più punti di vista se è particolarmente bello o interessante o se mi ispira particolarmente . Spesso mi lascio prendere la mano e di riprese ne faccio veramente tante per la gioia dell'archeologo che se lo può studiare da tutti i punti di vista.
E soprattutto la cosa MAGNIFICA è che il mio lavoro finisce lì : non devo stampare , non devo fare diapositive devo solo scaricare su un PC (adoro anche quello) e consegnare il cd.
La prossima volta parlerò ancora di Bagdad e del mio lavoro presso l'istituto di Archeologia di Torino e quella è un'altra storia.

domenica 15 luglio 2007

Canon ti adoro ( seconda puntata)


Dicevo che la fase preparatoria e organizzativa per la missione consisteva nel radunare tutto il materiale.
Avevamo delle casse tipo militare, in legno, che venivano foderate con pannelli di polistirolo per preservare il materiale fotografico dal caldo. Esternamente con mascherine e spray veniva "scritto" l'indirizzo per l'andata e altrettanto veniva fatto per il ritorno.
Il viaggio, se non ricordo male, avveniva via mare.
A Bagdad dei funzionari dell'Ambasciata italiana curavano il disbrigo delle pratiche doganali e così finalmente dopo parecchio tempo dall'invio tutto il materiale che doveva servire per la Missione, comprese le casse contenenti i nostri effetti personali ,era arrivato a destinazione.
Le missioni a cui ho partecipato vanno dal 1964 al 1975 anno in cui ho smesso perchè avevo "famiglia".
Nella casa della missione (in seguito ne abbiamo avute tre via via che il numero dei partecipanti aumentava) avevo tutto per me un paio di locali attrezzati a camera oscura.Nel primo ,piccolino c'era la "rotativa" uno speciale apparecchio con un grosso cilindro di acciaio che serviva per asciugare le stampe e conferire ad esse l'aspetto lucido.Si mettevano le stampe su un nastro trasportatore di tela, passavano sotto il rullo d'acciaio e poi uscivano aciutte e lucide.
Il guaio era che questa smaltatrice era un modello vecchio che avevamo a Torino ,in Istituto ,ed era di una lentezza abissale, da suicidio. Insomma più che a elettricità andava a criceti morti.
Nella seconda stanzetta che era il vero cuore del gabinetto fotografico c'era un ingranditore due bromografi, per la stampa a contatto delle negative ed un lavandino che ospitava le vaschette per lo sviluppo. Avevamo anche un grosso filtro per l'acqua altrimenti le impurità dell'acqua ,la sabbia (ogni tanto c'erano le tempeste di sabbia) potevano finire sulle pellicole, rovinandole. Per ultimo c'era un armadio essiccatore che adoperavo poco a meno che non avessi fretta per evitare che la polvere ,comunque in circolo ,finisse sulle pellicole.
Una volta sistemato il materiale , la carta e gli sviluppi in scaffali e le pellicole in frigo , potevo cominciare a lavorare.
Il mio lavoro consisteva nello sviluppo e stampa delle foto di scavo e nella ripresa di "tutto" il materiale restaurato e inventariato.
Tre stampe 18x24 cm. per ogni negativo , ognuna delle quali aveva sul retro, scritto a matita e non a biro che poteva macchiare, il numero del raccoglitore e il numero del negativo relativo: una palla pazzesca.
Per gli oggetti dovevo registrare sul raccoglitore il numero d'inventario. Lo sviluppo e le stampe dovevo farle a Torino, al rientro dalla missione , perché le riprese avvenivano verso la fine della missione e il tempo era poco anche solo per sviluppare i negativi .
E poi c'erano le volte ,parecchie, che cavalletto in spalla, e non pesava poco, e valigia metallica della Linhof ( 50 cm. di lato) andavo a fotografare il materiale archeologico presso la Mudiriya Mathaf, la Soprintedenza iraquena, ma questo la prossima volta, se non siete morti di noia.
La foto che ho inserito è del 1968 credo ,eseguita sullo scavo e raffigurante tutti i membri partecipanti alla missione, compresi autisti e personale di servizio, facilmente riconoscibili.
Io non ci sono perchè lavoravo solo a Bagdad.



venerdì 13 luglio 2007

Buon viaggio miei prodi!

Ormai i giochi son fatti! Fra non molto caricherete la vostra macchina (e di Carolina che ne sarà?)
e partirete. I mesi passati saranno un ricordo anche da incubo ma solo più un ricordo.
E quando sarete sulla strada che vi porterà verso la vostra destinazione un sorriso affiorerà sulle vostre labbra: ce l'abbiamo fatta!!!!!!
I vostri amici, quelli che veramente vi vogliono bene e hanno espresso non delle critiche , ma solo delle perplessità, vi saranno vicini kilometro dopo kilometro durante il vostro viaggio e sanno che non vi hanno perduto. In ogni momento vi potranno contattare, vedere, parlare grazie anche alle varie tecnologie.
Siete grandi ormai, responsabili e decisi ad affrontare nuove esperienze.
Non tenete conto di quelli che vi criticano, lo farebbero comunque e per qualunque cosa, di quelli che non hanno neanche la forza di andare a Torino non dico per andare a vedere una mostra,ma neppure per andare a teatro o andare a vedere i saldi. Di quelli che sono invidiosi per ciò che non hanno e non si sforzeranno mai di avere, di quelli che non hanno più un'emozione , una curiosità.
Ci mancheranno il vostro sorriso ,ma anche quello si potrà vedere su skype e allora cosa ci mancherà di voi ? Proprio niente ripensandoci perchè sempre e comunque saremo con voi.
Siamo felici per voi, siete giovani, belli, innamorati e un futuro radioso vi attende!!!!!
E Mammazan per ora vi abbraccia.

giovedì 12 luglio 2007

Canon ti adoro! (1°puntata)



Può far sorridere questa mia affermazione, ma dopo i lunghi periodi di panico, seguiti all'acquisto e all'utilizzo di quello che all'epoca mi sembrava un oggetto strano e impenetrabile, ora l'amore è totale!
Valentina ne possedeva già una ,mio regalo per la laurea nel lontano 2002 . La apprezzavo già un poco in quanto le consentiva di fare foto quando voleva, scannerizzarle e inviarle all'Eco del Chisone, per cui scriveva. Qualche volta ,in precedenza, l'avevo aiutata con la mia Nikon tradizionale : il lavoro era semplice ma non velocissimo.
Fui costretta ad acquistare una digitale nel 2003 perchè dovevo andare a lavorare in Libano e la Directione General Des Antiquités,(sarà giusta la dicitura?) di Beyrout ne aveva richiesto espressamente l'uso.
L'aiuto di Simone fu fondamentale come lo è sempre quando mi scontro con qualche tecnologia per me nuova.
Dovevo pensare alla digitale come ad una camera ( perdonate l'inglesismo) simile alle macchine fotografiche tradizionali, ma con molti vantaggi in più.
In effetti era così, ma per una fotografa vecchio stampo che aveva lavorato con la Linhof che faceva negative su lastre e pellicole in formato 9x12 cm, e poi con le prime Rollei con un solo obbiettivo , con macchine con soffietti che non finivano più per le foto macro, il salto era troppo forte per poterlo apprezzare subito.
Mi ricordo che quando si doveva andare in missione archeologica in Irak e precisamente a Bagdad, partivamo con una quantità incredibile di casse contenenti di tutto e, per quel che mi riguarda decine e decine di pacchi di carta fotografica, pellicole, sviluppi, fissaggi, prodotti per lo sviluppo delle diapositive e tutto quello che poteva servire per una missione di 3 o 6 mesi.
Adesso tutto questo non serve più ora basta una digitale e un computer e il gioco è fatto!!!!!!!
Nella seconda puntata i miei 25 lettori sapranno com'era la vita di una missione archeologica vista dalla sua fotografa.
Sopravviverete fino alla prossima volta?????


mercoledì 11 luglio 2007

EVVIVA MAMMAZAN!!!!!!!!!

Eccomi qui a voi o mei 25 lettori!!!
Intanto un grazie a chi ha reso possibile questa meraviglia e cioè alla mia adorata Valentina che però mi deve insegnare altre cosette per migliorare la veste di questo blog.
Un saluto a tutti quelli che mi leggeranno, sperando che la mia fertile fantasia mi accompagni e mi ispiri e non mi suggerisca solo banalità o cose poco interessanti!!
Chi mi conosce non rimarrà sorpreso dal tono, dalla vivacità di questa ragazzaccia di 65 anni anni
che rimane giovane dentro e anche un pò fuori, a dire il vero con qualche sforzo, che è chiacchierona , spesso saggia e sempre entusiasta.
L'entusiasmo deve essere il motore di ricerca per tutti noi, la curiosità per tutto quello ci circonda, mettendo in primo luogo le persone e poi le cose.
Bisogna parlare, non risparmiare sulle parole e non risparmarsi nell'ascoltare chi ci circonda.
per ora un saluto, ma giuro: chi mi ferma più???